Arrivo: a Capranica Prenestina
Dislivello: m.620
Tempo di salita: ore 2,1
Itinerario non segnato, consigliabile l’uso di carta geograficaVerso la parte finale l’ascensione è piuttosto faticosa ma ripaga ampiamente lo sforzo compiuto il paesaggio che si ammira per la via delle Creste se si vuole raggiungere Guadagnolo.
Se invece si decide di compiere una discesa a Cave, si opta per una passeggiata tra le più interessanti che il crinale prenestinico offre nella sua parte bassa.
Dal piazzale della Repubblica ci si incammina sulla strada, situata a destra in direzione Valle del Rio. In breve tale percorso diventa sterrato; si prosegue fino a incontrare un bivio; si gira a destra continuando il percorso nella Valle fino a raggiungere le pendici della montagna.Attraversato il torrente Rio, si percorre la sterrata che si erpica verso la sinistra per giungere, dopo ca. una decina di minuti,ad un incrocio di tre strade. Si prende quella centrale che conduce in breve ad un folto castagneto (a sinistra si va invece per la Valle Silla a Rocca di Cave; a destra si giunge a San Vito Romano).
Proseguendo il sentiero che attraversa un fitto bosco, si raggiunge il sentiero che da Capranica Prenestina raggiunge la Cona. Da qui il panorama sulla Valle di Genazzano è stupendo.
Arrivo : Guadagnolo
Dislivello: 700m
Tempo complessivo 4:00 h
Difficoltà : elementare
Parcheggiato il veicolo, si inizia a camminare dirigendosi verso la chiesetta rurale di S.Maria Maddalena a cui è affiancata una costruzione in pietra adibita nella I metà del XV sec. ad accogliere i pellegrini. Il tragitto che si deve percorrere infatti non è altro che l’antico”sentiero dei pellegrini” (ricco di elementi floristici e vegetazionali) e citato fin dal 1500 nelle Visite Pastorali dei Vescovi di Tivoli. Andando avanti, lungo una strada inizialmente asfaltata e poi cementata, si giunge in breve a Villa Manni (qui si trovano i ruderi archeologici dell’antica Trebula Suffenas).
Immediatamente si individuano, su un palo della luce, i segni bianco/rossi che accompagneranno per tutto il percorso. Seguendoli si inizia a camminare su una stradina in discesa, quindi si raggiunge e si attraversa un piccolo ponte.Si comincia a salire. Poco dopo sul lato destro si intravede una palizzata che segue l’andamento di un sentierino in discesa. È d’obbligo fare una piccola deviazione per andare ad ammirare la piccola cascata della località di Parabocio alimentata dal deflusso carsico. Si torna indietro e si riprende il sentiero sempre salendo. Si incontra andando molto avanti un bivio. Un sentiero in discesa porta alla fonte Nocchia e alla Rocchetta. Era questa la fonte che alimentava Trebula Suffenas e nel Medioevo la Mola della Rocca (mulino a servizio di Civitas Noae, San Valerio, San Magno) posto lungo il fosso denominato Vae e Simone.
La rocchetta o Rocca de Ilice (ilex, leccio) fu costruita dopo il Mille dai monaci sublacensi a difesa dei loro possedimenti montani e della “Città Nuova” con l’annessa chiesa di S. Giovanni, un insediamento sorto sulle rovine di Trebula Suffenas. Decadde nel XVI sec. quando Ciciliano passò sotto i Theodoli.
Tornando indietro al predetto bivio si riprende la continuazione del sentiero dei pellegrini. Si arriva quindi alla fonte Morrella (780 m) da morra un grosso sasso piatto (un caratteristico abbeveratoio) su cui, secondo una leggenda locale (molto inattendibile!), sarebbero rimaste impresse le zampe della mula inginocchiatasi per bere, condotta da San Giuseppe, il quale stava dirigendosi alla Mentorella con Maria e il Piccolo Gesù. Nei pressi della fonte della Morrella, chiamata in passato Fons ilicis, sorgeva il Castrum Morellae, eretto su tre speroni rocciosi (murruni) per proteggere i pascoli alti della montagna che erano oggetto di contesa tra i pastori di Ciciliano e quelli di Poli-Guadagnolo e tra i signori di Poli e l’Abbazia di Subiaco.
Il castrum sarebbe stato realizzato intorno al XIII sec. Non ebbe una lunga vita poiché ben presto passò in possesso ai monaci sublacensi che gà possedevano la vicina Rocchetta. Si continua a camminare in un continuo leggero saliscendi attraversando gli alvei ormai asciutti d’antichi torrenti. Il bellissimo sentiero procede a mezza costa tagliando i bellissimi boschi di Monte Cerella e Monte Vincenzo. Si raggiunge quindi prima l’Ara di Morricone e poi l’Ara della Croce.L’ara o aia non è altro che un pianoro di terra battuta molto esposto ai venti. In passato qui avveniva la pulitura del grano: i buoi, girando in circolo, calpestavano le raccolte e mature spighe di grano e subito dopo con pale di legno i contadini disperdevano al vento palate del trito per separare la pula (leggera e quindi portata via dal vento) dai chicchi di grano che ricadevano a terra essendo più pesanti.
Secondo una tradizione locale proprio nell’Ara della Croce sarebbe avvenuto l’incontro di Placido col cervo (la versione più attendibile è invece quella che pone il luogo dell’avvistamento lì dove è poi sorto il Santuario della Mentorella). Costui era un ufficiale romano di Traiano che, durante una battuta di caccia, vide tra le corna di un cervo apparire una croce. Si convertì e prese il nome di Eustachio; fu martirizzato sotto Adriano.
I segni bianco/rossi conducono sempre in salita fino al bivio col tratto finale del “sentiero Wojtyla” che porta al complesso del Santuario della Mentorella del XII-XIII secolo.
È questo il più antico Santuario mariano d’Italia. Si erge su uno sperone (1020 m) della sub-catena dei monti Caprini (la carta regionale dei Lazio li vede inseriti tra i biotopi da salvaguardare proprio per le eccezionali varietà botaniche presenti). È a questo punto che, come per magia, si apre alla vista un vasto panorama sulla valle del Giovenzano, affluente dell’Aniene. Dopo una doverosa sosta al Santuario, si riprende a salire seguendo il sentiero posto sul piazzale antistante il cancello del Santuario, raggiungendo il vicino e soprastante Monte Cerella (1202 m) e quindi Monte Guadagnolo (1218 m). È ora di consumare il pranzo al sacco!
Il paesino di Guadagnolo, il più elevato del Lazio, è ubicato su un’ampia cavità carsica sommitale. Dal suo belvedere la vista spazia sui principali gruppi montuosi dell’Italia centrale mentre lo sguardo: dagli Appennini arriva fino al Tirreno.
La discesa si compie a ritroso seguendo sempre il sentiero dei Pellegrini per tornare al parcheggio del Passo della Fortuna dove si è lasciato il veicolo.
Arrivo: Santuario della Mentorella
Dislivello: 500 m.
Tempo: andata e ritorno h.3,30
Difficoltà: facile
Fatti ancora in auto pochi metri, si parcheggia per proseguire a piedi, per ca. dieci minuti, su una strada sterrata delimitata da muri a secco.
L’escursionista viene guidato ora dai segnali bianco/rossi, posti sul lato sinistro del sentiero, che in breve lo portano ad imboccare il percorso che si snoda nel Vallone della Falconara.
L’ascensione inizialmente si compie in uno scenario magico: una serie di cascatelle (naturalmente se non si è in estate) ben si armonizza con il roccione rossastro della Morra Rossa e con la vegetazione di alte e rigogliose felci, di muschi spessi e folti, di pungitopi dalle rosse bacche. Il sentiero continua a salire nel bosco con una serie di tornanti fino a raggiungere il Santuario della Mentorella.
Arrivo: Sperone settentrionale dei Monti Caprini (1030 s.l.m.)
Dislivello: 100 m.
Tempo di percorrenza: 45 minuti
Difficoltà: per esperti
Fatti ancora in auto pochi metri, si parcheggia per proseguire a piedi, per ca. dieci minuti, su una strada sterrata delimitata da muri a secco.Ma veniamo a descrivere dettagliatamente il percorso di questo sentiero. Dopo aver raggiunto il Santuario con il Sentiero dei Pellegrini o con il Sentiero Karol Wojtyla, appena varcato il cancello d’ingresso al Santuario, è facile osservare sulla sinistra una tabella recante l’indicazione dell’inizio del Sentiero A. Kircher. Si inizia un po’ a perdere quota costeggiando locali a servizio del Santuario e si raggiungono le rocce dello Sperone di San Eustacchio.Si continua a scendere nel bosco seguendo la base delle rocce e giungendo ad una piccola grotta a destra dove ben visibile è la salita rocciosa da affrontare.
Il primo tratto è attrezzato con cavo metallico, quindi si guadagna la cengia che segna il versante nord dello Sperone Settentrionale. Continuando a salire si perviene alla Sella dello scoiattolo che si apre tra lo Sperone di San Eustacchio a destra e la Punta dello Scoiattolo a sinistra.
Di nuovo si riperde quota scendendo su i tracce ben visibili tra le rocce. Superato un passaggio esposto (ove occorre prestare molta attenzione), si ammirano la sottostante vallata e le imponenti pareti rocciose dello Sperone. Continuando a camminare sempre a sinistra si raggiunge la Sella dei Gigli.
Si continua a salire attraverso i pioli di una scala metallica incassata tra le rocce, poi si percorre uno splendido tratto roccioso con masso incastrato. Occorre poi, per non affrontare il successivo salto roccioso, procedere a destra seguendo evidenti tracce. Manca poco alla cima; superato un bel passaggio tra massi, si gira a sinistra giungendo finalmente sulla cima dello Sperone da cui si osserva un’insolita panoramica del Santuario.
La cima, essendo molto esposta, richiede la massima prudenza. Ritorno per lo stesso itinerario.
La castagna. Il sentiero, con un dislivello massimo di 360 metri, parte dalla piazza del paese per scendere tra sentieri, carrarecce e tratti di via asfaltata, fino al castagneto.
Un anello tra gli alberi secolari percorribile in circa 3 ore vi riporterà sulla strada asfaltata per un’esperienza suggestiva e nostalgica tra casette di pietra ed enormi tronchi.
I castagni furono trapiantati in epoca storica nelle zone in ombra e lungo il versante orientale dei Monti Prenestini, con una superficie stimata intorno ai 150-200 ettari, mentre le poche zone sottratte al bosco nelle aree sommitali e assolate, venivano un tempo coltivate a grano o lasciate al pascolo.
Negli ultimi anni, per recuperare lo stato di abbandono causato da infestazioni e mancata coltura, il castagneto è stato oggetto di diversi progetti promossi dal Comune e dal Museo Civico Naturalistico dei Monti Prenestini, atti a salvaguardare l’esistenza delle piante, la fruizione delle vie di percorrenza e la tradizione secolare della “Mosciarella” (castagna essiccata a fuoco lento nelle tipiche casette-essiccatoi disseminate all’interno del bosco).
Pagina aggiornata il 03/11/2023